Il servizio del sorriso

Sono le 6.15 del mattino, fuori è ancora buio e noi siamo riuniti in una piccola cappella al 6° piano del Salus Infirmorum, attorno ad un altare su cui poggia solo un piccolo cero acceso. La situazione è espressione del motivo per cui ci troviamo lì: essere luce e speranza per gli ammalati, gli anziani e i più bisognosi, all’interno di un cammino di fede. Durante il momento di riflessione Don David, Assistente giovani Unitalsi di Como, domanda se nella vita di tutti i giorni ci sia mai capitato di soffermarci ad osservare i visi delle persone chiedendoci cosa nascondano: quali storie, quali gioie, quali amori o quali ferite. Nel mio caso posso dire che spesso mi è capitato una cosa del genere: anzi è un “giochino” che faccio spesso in metropolitana quando, nella calca e nell’attesa di raggiungere il luogo di lavoro, mi metto a guardare i volti della gente e provo ad immaginare quali storie raccontino. Magari non ci ho mai azzeccato, oppure qualche volta sì perché da alcune espressioni si riescono a cogliere certi stati d’animo. Ebbene questo “giochino” a Lourdes assume un’accezione speciale: è la normalità vedere volti diversi poiché ci sono persone che arrivano da ogni parte del mondo, alcune di queste sono fisicamente deboli o provate dalla malattia, alcune sono anziane altre giovani, e in alcuni casi giovanissime. Che storia si cela dietro ai loro occhi? Beh in molti casi non è dato saperlo, in altri è l’ammalato stesso che confiderà spontaneamente il suo vissuto e le sue emozioni alla dama o ai barellieri che si troverà di fronte, una volta instaurato un legame di reciproca fiducia e stima. Di certo chi si trova a Lourdes sta cercando una risposta, chi alle proprie sofferenze, chi al proprio rapporto con Dio, chi al proprio bisogno di mettersi a servizio degli altri con carità vicendevole. Nella mia esperienza di “sorella” posso dire di aver osservato molti visi che non hanno mai rivelato quale motivazione li avesse spinti con fatica in quella piccola cittadina ai piedi dei Pirenei (Lourdes non è facile da raggiungere, nel nostro caso ci sono volute quasi dodici ore di pullman che, per degli ammalati o delle persone anziane, costituiscono indubbiamente un duro ostacolo), ma anche di aver ascoltato molte storie meravigliose di fede, di amore e sofferenza. Alcune di queste fungono molto più da testimonianza di quanto le sole parole riescano a descrivere cosa resta nel cuore di chi ha vissuto un’esperienza così grande. Ad esempio…

Una minuta signora anziana è venuta a Lourdes col marito affetto da demenza senile (sono sposati da ben 53 anni!). Guardando alla TV il rosario recitato alla grotta di Massabielle, si erano promessi che ci sarebbero andati insieme, e così hanno fatto. Mentre scrive le cartoline da inviare a parenti ed amici, al tavolo del salone situato al piano terra del Salus Infirmorum, mi racconta la sua storia, poi controlla che il marito sia ancora seduto al suo fianco e, rispetto alla sua esperienza a Lourdes, mi dice “Io non avrei mai sperato in una bellezza simile!”.

Poi c’è chi racconta di essere  già venuto 4 volte di fila a Lourdes ed stato anche a Loreto ma sorridendo mi dice: “Sa signorina, la vera differenza con Loreto è che Lourdes ti manca, quando vai via hai nostalgia e non vedi l’ora di tornarci!”.

Un signore  sulla cinquantina, è venuto a Lourdes per accompagnare il figlio il quale, a trent’anni, è rimasto offeso ad un braccio e alla testa in seguito ad un serio intervento chirurgico. Ora è obbligato a stare su una carrozzina e non può più lavorare. Con gli occhi lucidi mi dice: “Il Signore ci ha dato questo, e noi lo dobbiamo accettare. Venire qui fa bene al mio ragazzo!”. E a proposito di noi giovani volontari dice: “Ricordati che è dall’umiltà che nasce la superiorità, perché l’umile impara ma il superbo no!”.

Un altro ammalato di ben 82 anni al ritorno  al Salus Infirmorum dopo il rosario che abbiamo recitato l’ultimo giorno a Lourdes racconta di aver  subito ben 28 operazioni, e che per anni non ha  potuto andare a Lourdes a causa dei lunghi ricoveri ospedalieri. Ha sofferto molto non solo per gli acciacchi che ha dalla nascita ma anche perché la vita lo ha privato dei suoi più cari affetti, tra cui la moglie e quasi tutti i suoi figli. Piange. Poi si passa una mano sul volto per asciugarsi le lacrime, mi fa capire che la vita non è stata molto gentile con lui, eppure si definisce una persona buona, che va d’accordo con tutti e prega sempre per la sua Chiesa, per la gente del suo paese e per tutto il mondo (in realtà sua moglie “era molto più brava di lui a pregare, ed era anche lei una persona di animo buono”). Ora che i suoi mali fisici sono passati, ha colto l’occasione del pellegrinaggio Unitalsi e spera di portare lì presto anche la figlia “perché Lourdes va vissuta, non si può raccontare a parole!”.

E chissà quante altre storie meravigliose si potrebbero raccontare come queste! Mi preme però contestualizzare il mio racconto, fornendo una chiave di lettura che possa rendere più comprensibile la mia testimonianza: sono una ragazza di 26 anni proveniente da una piccola parrocchia sul Lago di Como che ha partecipato per la prima volta come dama al pellegrinaggio a Lourdes del 4-9 agosto, organizzato dall’Unitalsi Lombarda.

Prima della partenza è stato chiesto a noi volontari di usare sempre il sorriso come strumento di approccio col malato, ma è subito risultato evidente che questo nascesse spontaneo: la gioia che si ha nel cuore è troppo grande per poter cedere alla fatica, al caldo, alla stanchezza. Se aggiungiamo che la gioia parte dal malato, che è colui che sta peggio, diventa evidente che a Lourdes non c’è spazio per la tristezza ma solo per la fede, la carità e la speranza. E’ bello pensare che così come noi abbiamo sorriso ai malati e loro hanno sorriso a noi in segno di profonda gratitudine, proprio come avvenne durante la seconda apparizione della Madonna alla grotta di Massabielle, osservandoci dal Cielo “La Signora sorrise e chinò il capo; terminata la preghiera scomparve”.

Elisa Franconi